Ciao a tutti. Siamo gli operai dell'Esab che vivono, ormai da 5 giorni, sul tetto dell'azienda.
Abbiamo preso questa decisione in seguito all'ennesima presa in giro da parte degli amministratori. Per aiutare il lettore a capire la situazione e le nostre ragioni facciamo un breve riassunto.
Il giorno 10 giugno, la Charter (il fondo inglese che ha acquistato l'Esab), annuncia attraverso il suo sito che chiuderà 4 stabilimenti in Europa (due definitivamente e due temporaneamente). Noi chiediamo spiegazioni ai dirigenti della sede italiana che giurano di non sapere niente. Il 22 giugno, messi sotto pressione da noi che avevamo notato movimenti sospetti (alcune produzioni venivano fatte nei paesi dell'est ed arrivavano camion che invece di portare via materiale finito volevano caricare LE MATERIE PRIME), i dirigenti si riuniscono per cercare di capire come sia la situazione e ci danno appuntamento alle 14 per darci una risposta. Noi siamo tutti riuniti nel piazzale ad attendere quando arriva una telefonata al nostro delegato sindacale (seguita da un fax): l'azienda mette 85 persone in mobilità. Noi siamo lì a 10 metri da loro e la notizia la riceviamo via fax dai sindacati. Iniziano le forme di protesta: sciopero per l'intera giornata del 22 e 2 ore per reparto (in modo da coprire tutta la giornata) per bloccare l'uscita delle merci nei giorni successivi.
Questo tipo di protesta è andata avanti per tutto luglio ed agosto, con presidio permanente fuori dai cancelli. Nel frattempo sono state attivate tutte le istituzioni, indette assemblee aperte, con la partecipazione di operai di altre aziende nella nostra stessa situazione, forze politiche e sindacati. Abbiamo fatto una manifestazione per sensibilizzare le istituzioni e la popolazione di Mesero e dintorni.
Grazie all'interessamento di alcuni politici della zona abbiamo ottenuto un incontro a Roma presso il Ministero delle Attività Produttive. In quella sede, grazie alle pressioni del Governo, l'azienda ha cambiato la procedura di mobilità in CIS (Cassa iintegrazione speciale) per ristrutturazione, riservandosi però di firmare l'intesa in un secondo momento presso la Regione Lombardia.
Il 3 agosto, in Regione, cambiano le carte in tavola: la CIS non è più per ristrutturazione ma per cessata attività, lasciando intendere che avrebbero fatto di tutto per ricollocare il maggior numero di lavoratori e accompagnare nell'uscita gli altri (prepensionamento, per i più anziani e integrazione dello stipendio per quelli messi in CIS ed adeguata buona uscita per chi rinuncia alla cassa). Dopo una consultazione tra noi operai, messi con le spalle al muro, abbiamo dovuto accettare. Dopo la chiusura estiva (l'1 settembre), i dirigenti si rimangiano tutto offrendo 2 anni di CIS senza integrazione, a 750/800 euro al mese, (o integrazione prelevata dal nostro stesso tfr: "mi presti i soldi, così ti pago?") e buona uscita di sole 6 mensilità per chi decidesse di rinunciare ai 2 anni di CIS per andare subito in mobilità. Al Ché abbiamo deciso di invitare i nostri colleghi impiegati (non toccati, per ora, da questa procedura) a non entrare e di salire sul tetto della fabbrica.
Siamo saliti di istinto, senza niente, solo con i nostri vestiti, bandiere e striscioni. Poi abbiamo fatto una colletta per comprare un gazebo, ci siamo fatti portare sacchi a pelo e tende e ci siamo organizzati per resistere. I primi giorni sono stati duri: caldo afoso e pasti con panini. Poi, grazie ai nostri colleghi, al sindaco di Mesero e altri operai della zona, piano piano, la situazione è migliorata. Ora ci portano caffè e brioches la mattina ed un pasto caldo a pranzo e cena, ci hanno prestato una tv (grazie alla quale abbiamo potuto seguire la partita delli'Italia) ed abbiamo procurato un computer ed una chiavetta per connetterci.
Le giornate si susseguono tutte uguali, nell'attesa di sviluppi positivi. Il gazebo a stento ci contiene tutti e ci protegge un pò dal caldo e dal vento. La terza notte è stata davvero dura, c'era un vento fortissimo (abbiamo dovuto ancorare le tende, altrimenti ce le portava via) ed abbiamo patito un pò il freddo. Sembra di stare nel deserto: caldo afoso di giorno e freddo di notte ma noi resistiamo. La cosa triste è che nella nostra situazione ci sono migliaia di altre persone ma, se non sali su un tetto, non esisti, non importa a nessuno. Il nostro non è un tentativo di imitare gli operai della INNSE, che ammiriamo e ringraziamo per la solidarietà (sono venuti a trovarci e ci hanno lasciato una loro bandiera che esponiamo) ma è l'unico modo per essere presi in considerazione. Domani (lunedì) ci sarà l'ennesimo incontro tra il consiglio di fabbrica e la direzione. Noi siamo fiduciosi perché siamo decisi a non arrenderci finché non otteniamo ciò che chiediamo: tutela dei posti di lavoro ricollocando il maggior numero di lavoratori (anche presso l'eventuale futuro acquirente dell'area) ed accompagnare degnamente gli altri nell'uscita, senza ridurli alla fame. Soprattutto perché la Esab non chiude a causa della crisi o per fallimento ma solo per una speculazione. Infatti la motivazione è "la necessità" di distribuire dividendi agli azionisti e di vendere l'area sulla quale sorge lo stabilimento continuando la produzione nei paesi dell'est. Infatti, l'Esab è situata a poche centinaia di metri dal casello autostradale di Mesero ed è adiacente alla superstrada per la Malpensa (raggiungibile in 15 minuti), in piena area Expo.
domenica 6 settembre 2009
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RESISTERE UN MINUTO PIU' DEL PADRONE
RispondiEliminaBERTANI RINALDO--EX ESAB
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RispondiEliminaCome per l'Innse, la Lares e la Marelli, l'ANSA di Milano continuerà a raccontare la lotta dell'Esab
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